Il virus sta tornando a sferzare l’Europa sotto il suo schiaffo e la comunità scientifica nel suo complesso allerta i governi da oltre un mese sollecitando misure più drastiche per il bene della salute pubblica. Ma guidare un Paese democratico in tempi d’emergenza sanitaria non è cosa facile. I Paesi europei hanno compiuto un esercizio equilibristico tra il contenimento dei ricoveri ospedalieri (e relativi decessi) e il sorreggere l’economia.

Evitare di bloccare la vita sociale a tappeto con un nuovo lockdown risparmiando alle operazioni commerciali ulteriori sofferenze, oltre che salvaguardare la salute anche mentale delle fasce più deboli della popolazione, ha collocato i Paesi occidentali in una posizione di svantaggio in termini di risposta all’avanzare del virus tutt’altro che indebolito come ci si illudeva sarebbe stato nella seconda ondata. Inoltre l’aver potuto intraprendere questo contenimento stop and go è stato un lusso che ci siamo potuti permettere grazie a quelle strutture ospedaliere, così mortificate dai tagli degli ultimi dieci anni, che finora sono state in grado di gestire i flussi di degenza. Questa analisi della situazione e relativa risposta sono di per sé corrette, ma non hanno tenuto conto che possono funzionare a pieno solo con un sistema di tracciamento preciso che permette di operare chirurgicamente su tutti i focolai da spegnere, e un tracciamento di questo tipo, oltre a necessitare di numerose risorse, è fattibile solo sacrificando qualche diritto personale.

La recente esperienza ci insegna, infatti, che sono stati i Paesi che hanno adottato le misure più rapide e drastiche ad avere avuto ragione del virus e quindi si veda la Cina, Taiwan, Australia, Corea, Nuova Zelanda e ovviamente il Giappone. Si rende necessario tener conto dell’approccio che i sopracitati Paesi orientali adottano verso trasparenza, privacy e controllo sociale, molto diverso da quello della maggioranza degli stati europei.

Prendendo in esame il Giappone, un elemento da cui non si può prescindere nel valutare la situazione nel suo complesso è sicuramente l’abitudine, consolidatasi ben prima del Covid-19, dei cittadini all’utilizzo quotidiano delle mascherine, dato confermato dalle stesse autorità giapponesi. Ma oltre ciò, come dichiarato dal ministro giapponese per l’emergenza Covid-19, Yosutoshi Nishimura, la nozione di cluster di trasmissione ha avuto importanza fondamentale, ovvero l’isolamento tempestivo dei piccoli e -inizialmente- pochi gruppi di positivi portatori di indici di contagiosità molto importanti. Di seguito all’isolamento tempestivo dei positivi, le autorità giapponesi hanno massicciamente impiegato tracciamento e mappatura dei dati disponibili. Il tracciamento retrospettivo, volto a ricostruire lo storico dei contatti dei positivi anche precedentemente al contagio, ha dunque permesso di controllare la diffusione del Covid-19. Le mancanze di questo sistema, sono state appianate con le ben note regole volte a limitare l’affollamento in spazi sia chiusi che aperti e i contatti ravvicinati fra cittadini. In entrambe le fasi di contenimento sono state ampiamente impiegate tecnologie informatiche avanzate ed intelligenza artificiale, come spesso accade in Giappone.

Merita citare il caso della Corea del Sud proprio nell’ottica di quel sacrificio di prerogative individuali al fine di contrastare situazioni emergenziali. Già reduce dall’epidemia di Mers del 2015, la Corea del Sud ha optato per metodi “radicali” contro il Covid-19. A fronte di una situazione iniziale molto critica, si è fatto ricorso ad un massiccio tracciamento della popolazione tramite smartphone, carte di credito e videocamere pubbliche. Si è passati dunque da una situazione al limite del controllabile nelle aree di Seul e Daegu, ad una neanche preoccupante in tutto il paese, grazie all’impiego di una sorta di pesca a strascico di dati personali. Il tutto era già stato presentato ai tempi dell’epidemia di Mers appunto, ma questa volta con riforme apposite volte a legalizzare l’intervento dello Stato a scapito della privacy del singolo, in situazioni reputate di necessità.

Questa settimana segna uno spartiacque per i Governi europei chiamati a operare un nuovo drastico intervento per domare l’avanzata del virus. Scienza e politica sono due mondi distanti, specie in democrazia, dove si opera in base al consenso. Cinicamente, i governi democratici, preoccupati di provocare la rivolta sociale tra negazionisti di vario genere e tra le categorie più colpite economicamente dal virus, hanno atteso finché la crescita esponenziale dei contagi e una nuova ondata di decessi creassero le condizioni di paura e angoscia sufficienti a rendere accettabile un nuovo lock down.

Nelle situazioni di emergenza sanitaria tra liberalismo cinico e dispotismo statale sarà il tempo a definire quale sia il più efficace.

Beatrice Di Giovanni