Applicabilità della clausola sociale di cui all’art. 50 Codice appalti
La clausola sociale, di cui all’art. 50 del d.lgs. 50/2016, prevede che nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti rivolti agli operatori economici, le Stazioni appaltanti debbano inserire delle misure specifiche volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo che l’aggiudicatario dell’appalto applichi i contratti collettivi di settore, ovvero i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali o dalla r.s.u.
Nel contenzioso in materia di appalti, spesso, la clausola sociale viene interpretata nel senso per cui sarebbe obbligatorio, da parte della impresa aggiudicatrice, riassorbire in modo integrale il personale precedentemente addetto alla commessa.
Dunque, sorge il dubbio se tale interpretazione dell’art. 50 sia fondata o meno, se quindi ci sia effettivamente un obbligo di riassorbire tutto il personale impiegato dall’operatore economico uscente.
A tal proposito, il Consiglio di Stato è intervenuto con la Sentenza n. 6761 del 2/11/2020 chiarendo come la previsione di tale clausola non comporti “Alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”. Giurisprudenza fatta propria dal T.A.R. Lazio – Roma, sez. I – quater. con la sent. n. 5588 del 12.05.2021.
Anche semplicemente leggendo l’art. 50 del Codice appalti si desume che non c’è nessun obbligo di assorbire il personale impiegato nel precedente appalto: detto articolo rileva solo ai fini dell’applicazione, da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del D.lgs. 81/2015.
E’ necessaria un’armonizzazione tra le esigenze di stabilità occupazionale dei lavoratori e l’organizzazione aziendale prescelta dal nuovo affidatario. Pertanto “Il riassorbimento è imponibile nella misura e nei limiti in cui sia compatibile col fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro elaborata dal nuovo assuntore” (Linea guida n. 13 ANAC).
La ricostruzione secondo la quale vi sarebbe un vero e proprio obbligo al riassorbimento del personale non convince neanche dal punto di vista costituzionale e europeo: qualora si propendesse per la tesi dell’obbligatorietà, si addiverrebbe ad un’automatica esclusione di tutti quegli operatori economici che non assumessero, alle stesse preesistenti condizioni, il medesimo personale utilizzato dall’impresa uscente.
In tale caso sarebbe violato il principio della libera iniziativa economica ex art. 41 Cost.
Così ragionando, nell’eventualità che un operatore economico uscente partecipasse ad una nuova gara indetta da una Pubblica Amministrazione, l’unica società che potrebbe superare positivamente la valutazione tecnica e aggiudicarsi l’appalto, in quanto la sola a poter garantire il rispetto della clausola sociale intesa come obbligatoria, sarebbe proprio quella uscente. Tale assunto contrasterebbe con i fondamentali principi che ispirano il Codice del 2016, i quali sono invece rivolti ad aumentare la platea degli operatoti economici partecipanti e al principio di rotazione tra gli affidatari delle commesse, non tollerando che una tale clausola possa comportare imposizioni violative della libera iniziativa imprenditoriale e della concorrenza, attraverso un’interpretazione formalistica e rigida che condurrebbe ad un effetto automaticamente escludente, nettamente rigettato dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 7922 del 29.11.2021).