L’inefficienza delle azioni proposte nei “soli” confronti dell’impresa di
Assicurazione: la mancata risposta all’interrogatorio formale richiesto dal trasportato
Il modello del modulo di denuncia di sinistro attualmente a disposizione degli assicurati-proprietari dei veicoli a motore appare del tutto inadeguato per quanto attiene alla “funzione di identificare” i passeggeri che abbiano subito in un incidente stradale lesioni fisiche, e ciò di certo non agevola né la trasparenza dell’operato dell’assicuratore nei confronti di un soggetto debole, quale è il trasportato, né la repressione alle frodi ai danni delle imprese di assicurazione.
Occorre considerare che sul frontespizio del modulo di denuncia di sinistro non è presente alcuno spazio per il proprietario del veicolo finalizzato ad indicare i nominativi dei trasportati, mentre solo sul retro è disegnato un riquadro ove vi è una sezione deputata a contenere, tra l’altro, i dati relativi ai danni subiti dai passeggeri del “veicolo assicurato”. Nella stessa sezione non è, però, possibile specificare le generalità dei trasportati del veicolo antagonista, il che potrebbe favorire comportamenti fraudolenti dei denuncianti visto che, e ciò non è di poco conto, il retro del modulo “non è a ricalco”.
Addirittura la CARD, Convenzione tra assicuratori per il risarcimento, in attuazione di quanto previsto dall’art. 13 del D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254, prevede che la presenza di feriti, ove non risulti dal modulo, può “emergere in un secondo momento” anche a seguito: 1) di contatto con l’assicurato; 2) di richiesta di risarcimento del danneggiato; 3) di segnalazione dell’impresa debitrice cui si sia rivolto il danneggiato stesso (norma operativa all’art. 17 della CARD).
Sempre sul retro del modulo è prevista la sottoscrizione alternativa dell’assicurato o del conducente, e ciò pur imponendo il Codice delle Assicurazioni che la redazione, e, ovviamente, la sottoscrizione del documento, vengano effettuate unicamente dal proprietario del veicolo: questo, infatti, potrebbe non essere né l’assicurato-contraente, né il conducente.
Solo nell’allegato al modulo, intitolato “altre informazioni”, e predisposto per l’aggiornamento della banca dati sinistri di cui all’art. 135 del t.u., esiste uno spazio destinato a raccogliere le informazioni relative all’identità dei trasportati di entrambi i veicoli; lo stesso, però, non solo non ha uno spazio dedicato alla sottoscrizione, ma non costituisce, come espressamente indicato dall’art. 16, II comma, del regolamento IVASS n. 13, del 6 febbraio 2008, “parte” del modulo di denuncia, visto che quest’ultimo mantiene i propri effetti tipici pure in totale assenza delle eventuali altre informazioni richieste dal foglio aggiuntivo.
A fronte di questa situazione che, per usare un eufemismo, è di “assoluta incertezza” circa l’identificazione dei terzi trasportati-danneggiati è intervenuta nel 2016 una decisione della Cassazione. Nella stessa si afferma che la posizione di favore attribuita dall’art. 141 del c.d.a. al trasportato non lo esonera dal fornire la “prova principe della sua azione”, che è quella di aver subito un danno a seguito di un sinistro stradale verificatosi quando era trasportato. Si legge nella sentenza che il cid a doppia firma depositato dal danneggiato era privo di qualunque decisività rispetto alla questione controversa sul “se” il trasportato era tale al momento dell’incidente, risultando lo stesso solo “indicato” nella parte posteriore del modulo di denuncia come passeggero ferito.
In un’altra sentenza della giurisprudenza di legittimità, sempre nel 2016, si legge poi che in ossequio al disposto dell’art. 2697 c.c. spetta al trasportato che agisce in giudizio ex art. 141 del c.d.a. fornire la prova dell’effettivo accadimento del sinistro, e del nesso di causalità tra il sinistro ed i danni da risarcire. Nel caso di un’azione giudiziaria promossa dal trasportato tra i mezzi di prova a disposizione dello stesso può, ad esempio per provare il fatto storico, deferire su un punto oggetto di diretta contestazione da parte dell’assicuratore regolarmente costituito l’interrogatorio formale all’autore dell’illecito, parte processuale che ha nei suoi confronti una posizione antitetica, e che deve rispondere personalmente ed oralmente all’interrogatorio. Il responsabile del danno potrebbe, però, non presentarsi a renderlo; vediamo allora cosa è previsto dal nostro ordinamento nel caso di mancata presentazione della parte all’interrogatorio formale.
L’art. 232, I comma, del codice di procedura civile dispone che: “se la parte non si presenta, o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il collegio, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio”.
Nell’ipotesi di mancata risposta all’interrogatorio il codice di rito ha inteso escludere categoricamente “efficacia automatica” di prova piena ad un comportamento processuale “equiparabile alla confessione”; ciò in quanto, ad avviso della S.C., questa situazione può essere dettata da ragioni diverse dall’intenzione di riconoscerne tacitamente la verità, o dalla consapevolezza della verità dei fatti oggetto dell’interrogatorio.
La mancata risposta all’interrogatorio costituisce un comportamento processuale qualificato che può fornire elementi indiziari di valutazione idonei ad integrare il convincimento del Giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli.
L’art. 232 c.p.c. non ricollega, però, alla mancata risposta un effetto automatico di ficta confessio, così come invece avveniva nel regime dell’art. 218, II comma, del codice di rito abrogato, riconnettendo ad essa soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari di prova a favore della avversa tesi processuale, non aventi di per sé alcuna portata decisiva: la circostanza deve essere valutata alla luce del più ampio quadro degli elementi probatori emergenti dagli atti, il cui concorso è necessario per la formazione del convincimento.
In altre parole la mancata comparizione dell’interrogato costituisce un comportamento valutabile non come prova legale, bensì come “argomento indiziario”, rappresentando un fatto qualificato riconducibile al più vasto ambito del comportamento delle parti nel processo, cui il Giudice di primo grado può, ex art. 116 c.p.c., desumere argomenti di prova, e può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti, e così di prova, restando comunque soggetta alla sua prudente valutazione. Secondo costante giurisprudenza di legittimità il contegno della parte nel processo può, infatti, costituire unica e sufficiente fonte di prova e di convincimento, e non già soltanto un elemento di valutazione degli elementi di prova acquisiti.
Relativamente agli “altri elementi di prova” emergenti dagli atti il Giudice ben può sommariamente esporli, ma di essi deve, comunque, dare menzione con l’enunciazione delle ragioni che sorreggono l’apprezzamento. Può anche premettere il riferimento sintetico ai capitoli articolati nell’interrogatorio, il che costituisce la premessa logica dell’iter valutativo, e ne consente il vaglio di adeguatezza e di congruità. In tal modo si evita che l’esercizio del potere discrezionale del Giudice si trasformi in arbitrio, e consenta di ritenere provati dei fatti non suffragati in alcun modo dagli altri elementi acquisiti al processo, dovendo comunque il Giudice motivarne l’“esercizio negativo”.
L’inciso (valutato ogni altro elemento di prova) va inteso nel senso che il codice di rito, rispetto al sistema improntato al principio del libero convincimento, assegna eccezionalmente all’esercizio della discrezionalità del Giudice un criterio normativo nel metodo di valutazione che prescrive il concorso alla formazione del convincimento finale sulla prova del complesso organico ed unitario delle “altre circostanze di fatto, anche semplicemente indiziarie”, risultanti dagli atti.
La mancata presentazione della parte a rendere l’interrogatorio formale può, pertanto, costituire un fatto processuale tale da indurre a ritenere ammessi i fatti che formano oggetto dell’interrogatorio, istituendo un collegamento necessario tra la valutazione stessa e l’apprezzamento positivo o negativo sull’efficacia della mancata risposta, e ciò indipendentemente da una specifica istanza dell’interessato, ma, restando soggetta al prudente apprezzamento del Giudice nei termini sopra precisati, può, al contrario, essere ritenuta priva di valore probatorio qualora i fatti dedotti non trovino supporto negli “altri elementi” acquisiti al giudizio. I fatti possono ritenersi provati o non provati all’esito di una valutazione caso per caso. Ma ciò purché concorrano anche “altri element ”.